martedì 28 agosto 2012

Giochi da maschi e da femmine? Non da Harrods!

Quanto contano gli stereotipi e le aspettative sui ruoli di genere durante la crescita? Devono essere partiti da una considerazione di questo tipo da Harrods, per arrivare alla rivoluzionaria decisione di aprire un nuovo reparto giocattoli in cui non esiste la tradizionale suddivisione tra giochi "da maschi" e "da femmine". Una organizzazione per aree tematiche sostituisce la classica impostazione per cui nel reparto "rosa" si trovano quelli dedicati alla bambine - che richiamano le attività legate alla cura della casa e della famiglia - e in quello "azzurro" vengono esposti giochi di movimento, macchine, aerei, soldatini e supereroi che si rifanno agli ideali di forza, autorità e virilità che devono contraddistinguere i maschi.
Peccato che la notizia, uscita intorno a ferragosto, sia passata del tutto inosservata.  Sarebbe stata, invece, utile e interessante una discussione riguardo alle aspettative sociali sul femminile e sul maschile che subiamo già a partire dalla primissima infanzia. Se ci fate caso le pubblicità rivolte ai più piccoli sono popolate da bambine vezzose, magari con le treccine bionde, che giocano a fare le mamme e da piccoli lottatori scatenati che giocano con i supereroi dell'ultimo cartone di moda. E lo stesso avviene nei negozi di giocattoli. Questo è il modello di femminilità e di mascolinità che viene riproposto all'infinito. Un modello recepito  passivamente da bambine e bambini,  i quali, crescendo, saranno portati a riprodurlo, e altrettanto passivamente accettato dagli  adulti che non sono in grado di immaginare modelli alternativi.

2 commenti:

  1. Da bambina nella mia famiglia c’erano due donne e due uomini: mia mamma, ragazza madre nel 1957 e donna pragmatica e agnostica, contabile in carriera a Milano che vedevo per un’ora, la sera (fino al fatidico “Carosello” poi tutt’e due a nanna) e con cui nel week end facevo scoperte molto interessanti a Milano: in giro per chiese e musei o a Teatro con Carlo Mazzarella o al Teatro Franco Parenti e agli spettacoli, allora eccezionali in Italia di Holiday on Ice. Mio zio Silvano, fuoriuscito dal Seminario prima della “”Teologia” e poi delegato comasco dei giovani di Azione Cattolica, celibe fino ai 38 anni, era un creativo nel mondo del tessile comasco; appassionato di storia contemporanea mi regalava un’infinità di libri e colori per dipingere e mi scarrozzava in auto con la sua morosa Elda. Mio nonno Paolo , già capostazione alle Ferrovie Nord, era delegato alla narrazione di fiabe e favole, durante il nostro rituale pisolino del pomeriggio (non mi piaceva e non mi mandarono più all’asilo). Ma spesso, oltre alla fiaba c’era un’appendice giornalistica ripresa dalle cronache de “La Provincia”: incidenti, furti, qualche spiegazione di politica (la famiglia di mio nonno era piena di ferrovieri socialisti piemontesi). Mia Nonna Ida, solida massaia sabauda era l’unica in famiglia ad avere votato monarchia al referendum del “46” e rappresentava l’”istituzione” e le “regole”, il mandato generazionale e tutto quanto attenesse al “senso di responsabilita” e alla morale costituita. Era molto esigente, e credo che abbia avuto un filo diretto con il mio costituendo “ superio” nella sua accezione psicologica freudiana. Negli anni del liceo le avrebbero dato man forte vari miei professori del Liceo Classico Alessandro Volta. La cadenza annuale delle vacanze mi portava un mese sul mar Ligure (soffrivo di tonsilliti) con mia madre presso un pensionato religioso per famiglie, dove una suora cuciniera spediva quotidianamente noi ragazzi (maschi e femmine indifferentemente) a recuperare i “gianchetti” e l’invenduto sulle barche dei pescatori o a pescare con lenze di fortuna granchi e qualche pesce di basso fondale. In settembre venivo spedita nel Novarese dai miei cugini, una famiglia di cow-boy piena di maschi, appresso a mio zio che macellava maiali e assisteva ai parti delle vacche, ed è lì che ho incominciato ad appassionarmi alla biologia e a pensare di fare il medico. Da bambina mi riempivano di giochi: ricordo un Natale con 31 regali, anche dalle colleghe milanesi di mia mamma. Negli anni del boom i bambini e non gli adulti erano i destinatari delle cose migliori all’interno del parentado: bambole, lucidatrici, mobiletti e vestitini ma anche mazze da cricket, volano, palloni da calcio e pallavolo, una piccola canoa. A sei anni, durante un ricovero ospedaliero ricevetti, su mia richiesta, una magnifica pistola giocattolo di metallo pesante. Dopo le elementari in classe femminile ( la mia maestra Capizzi, zia del mio futuro marito era un “supereroe” oltre che dell’impegno scolastico, anche dello sport ( sportiva nella “Comense” negli anni del fascismo) e poi della montagna trentina, ed infaticabile organizzatrice di spettacoli teatrali, eventi, cori con cui ha nutrito le nostre anime bambine e le ha spalancate a tutto quanto di bello ed entusiasmante ci potesse essere nel mondo, nei libri e nei giornali. Penso che i modelli umani nella mia infanzia abbiano contato assai più del tipo e del genere dei giocattoli, nella formazione della mia personalità. Gli oggetti non vivono di vita propria e i bambini hanno la possibilità di confrontare più modelli proposti da persone e contesti diversi. Penso di essere stata una bambina molto fortunata, non foss’altro perché nessuno degli adulti che mi stava intorno ha pensato di svolgere un ruolo esclusivo di educatore, e in definitiva sono riuscita a sfuggire alle “nevrosi” e fisse di ciascuno di loro. Mi è servito più tardi, da adulta ogni volta che qualcuno ha cercato di “farmi prigioniera”.

    Idapaola Sozzani

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  2. impariamo a fidarci dei gusti dei bambini..che giochino con le bambole, con le macchinine, con entrambi se vogliono

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