domenica 6 luglio 2014

Perchè 11 uomini che perdono fanno più notizia di 2 donne che vincono?








Negli ultimi 10 giorni l'Italia dello sport è stata protagonista sulla scena internazionale con due episodi di rilievo. Da una parte la nazionale di calcio è stata eliminata - meritatamente, secondo il giudizio degli esperti - dai mondiali di calcio senza neppure accedere agli ottavi. Dall'altra le tenniste Sara Errani e Roberta Vinci hanno vinto Wimbledon - prima di loro nessun italiano, nè uomo nè donna aveva mai conquistato il campo inglese - e sono entrate nella storia per aver vinto tutti i tornei dello slam, risultato raggiunto finora da pochissime atlete.

L'esito infelice del mondiale italiano è stato tra le principali notizie di giornali e telegiornali, oggetto di dibattiti infiniti.  Se mettete in google "perchè l'Italia ha perso i mondiali" vi escono 11.900.000 risultati! Tutti impegnati a cercare giustificazioni improbabili e colpevoli da gettare in pasto all'opinione pubblica, quando un risultato così umiliante avrebbe meritato un mesto e rapido oblio (e qualche seria considerazione sui guadagni sproporzionati di questi ragazzotti viziati che ci ostiniamo a trattare come eroi).


Le due campionesse che hanno portato l'Italia al vertice del tennis mondiale hanno meritato appena qualche articolo e un passaggio, non di primo piano, nei principali telegiornali. Il giorno dopo la storica vittoria sull'home page della Gazzetta dello Sport si deve faticare per trovare la notizia.  Scommetto che la visibilità mediatica di questo trionfo storico sarà pari a zero nel giro di pochi giorni. 


Un interessante studio finanziato dalla Commissione Europea ha indagato il rapporto tra "Sport media e stereotipi" in cinque paesi - Austria, Lituania, Norvegia, Italia e Islanda - mettendo in evidenza una quasi completa assenza delle donne dall'informazione sportiva europea. Il rapporto sottolinea, inoltre, che i media che si occupano di sport riproducono modelli di genere presenti nella società e li rafforzano (puoi scaricare il testo del rapporto in italiano)




Ma non è solo un problema mediatico. In Italia persiste una discriminazione odiosa che esclude le atlete donne dalle tutele della L. 91 del 1981 che regola il professionismo sportivo.  In questa legge si stabilisce che siano le Federazioni Sportive Nazionali a decidere le discipline professioniste in Italia. E le Federazioni, ad oggi, hanno deciso che ci sono sei discipline professionistiche: calcio (campionati fino alla Lega Pro), basket (fino alla serie A2), ciclismo (gare su strada e su pista approvate dalla Lega ciclismo), motociclismo (velocità e motocross), boxe (I, II, III, serie nelle 15 categorie di peso) e golf.  Tutte maschili! 


In altre parole le sportive italiane sono considerate tutte dilettanti, anche quelle che vincono là dove nessuno ho vinto prima di loro. In Italia non esistono atlete professioniste perchè nessuna disciplina femminile in Italia è considerata professionistica. Questa esclusione comporta conseguenze pesanti in quanto l'atleta dilettante non ha alcuna tutela giuridica, non ha diritto a pretendere un contratto, i compensi non sono garantiti da nessuno strumento legale, non includono alcun obbligo previdenziale, non comportano trattamento di fine rapporto. Per non parlare del fatto che compensi, montepremi e borse di studio per le donne sono di gran lunga inferiori a quelli maschili.


Qualche voce che denuncia la situazione delle atlete italiane sta fortunatamente emergendo - alcuni articoli interessanti che approfondiscono la questione qui,  qui e qui - ma non basta di certo. 


La speranza è che risultati eccezionali come quelli raggiunti da Errani e Vinci siano un volano per dare visibilità alla questione e sollecitare gli interventi necessari per sanare una situazione di oggettiva discriminazione che penalizza in modo iniquo le nostre sportive.



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